Abbiamo posto alcune domande a Michele Obit, traduttore dalla lingua slovena di ben due romanzi della collana Mimesis eLit: Niente di nero in vista. Un romanzo fatto di storie di Nataša Kramberger (EUPL 2010) e La stagione secca di Gabriela Babnik (EUPL 2013).
Michele Obit è giornalista e conoscitore di cultura, lingua e letteratura slovena; vive in una cittadina friulana la cui prossimità con la Slovenia ha favorito in lui, come del resto capita ai popoli “di confine”, l’incontro con la cultura di impronta slava.
È stato un confronto inevitabile, che l’ha portato, ormai vent’anni fa, ad approfondire il mondo linguistico, letterario e soprattutto poetico della confinante terra slovena, geograficamente così vicina, ma linguisticamente e ideologicamente distante.
Spinto dalla curiosità e da un forte desiderio di comprensione e conoscenza, si è spostato a Lubiana per studiare la lingua e conoscere da vicino i fermenti letterari e poetici contemporanei. Sono nati così incontri personali e letterari che hanno reso Michele Obit profondo conoscitore di lingua e cultura slovena, nonché un suo incredibile promotore.
In Italia persegue questa attività di divulgatore con lo strumento più efficace in suo possesso: la traduzione.
Michele Obit presenta i due romanzi che ha tradotto dalla lingua slovena:
Niente di nero in vista e La stagione secca
Niente di nero in vista è, come suggerisce il sottotitolo, un romanzo fatto di storie. Qui, la vicenda di Jana, una ragazza slovena cresciuta in Iugoslavia e che lavora ad Amsterdam come babysitter, si intreccia con quella di Bepi, un anziano pescivendolo italiano. Dal loro incontro scaturiscono diverse storie contemporanee; alcune ambientate nell’Europa cosmopolita, altre in quella più rurale e contadina, che fa da sfondo alle vicende principali.
La stagione secca è un romanzo anomalo nel piccolo, ma variegato, e comunque ricco panorama letterario sloveno. Per l’ambientazione sicuramente (l’Africa continentale), e per il tema di fondo, quello delle comprensioni e/o incomprensioni che nascono da rapporti tra persone con culture così differenti. Nel Continente nero può accadere anche che una donna già matura, proveniente da un piccolo paese del Centro Europa incontri per strada un ragazzo africano dal corpo divino e decida di condividere con lui un’esperienza amorosa fatta di carne, desolazione, solitudine e incanto. Li accomuna un passato triste, impossibile da dimenticare, e, ora, quel vento secco che lentamente ma inesorabilmente, per la distanza che c’è tra i due mondi ai quali appartengono li allontana. Nel romanzo, scritto a due voci, si intrecciano frammenti di realismo magico e di una realtà che all’Occidente pare remota solo quando ignora la tragedia di popoli che cercano altrove la speranza e il diritto di vivere.
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Michele Obit, che di traduzione ha ormai una consolidata esperienza, soprattutto in ambito poetico, parla del suo approccio alla traduzione dallo sloveno, una lingua strutturalmente differente dall’italiano:
«Per tradurre Niente di nero in vista ho seguito uno schema che metto in atto con le traduzioni di autori contemporanei. Ho steso una versione di prima mano, cui ha fatto seguito il confronto diretto con l’autrice, Nataša Kramberger, eccellente conoscitrice della lingua italiana. Abbiamo lavorato insieme per capire dove era possibile lavorare sulla lingua italiana: infatti la lingua slovena, nel suo essere rigida, non dà molte possibilità di giocare con le parole; per questo motivo il contatto con Nataša è stato di fondamentale importanza, perché in fase di traduzione mi ha dato il limite entro il quale è stato possibile variare.»
Q: Qual è il tratto distintivo della lingua slovena?
«In realtà, benché appartenente al gruppo di lingue slave, diverso da quello delle nostre lingue romanze, lo sloveno ha una struttura molto simile al latino: presenta casi e declinazioni. Una sua caratteristica è la declinazione in duale, per cui oltre al singolare e al plurale, esiste una declinazione specifica quando sono presenti due cose o persone. A renderla una lingua ostica è anche il fatto che nelle parole le consonanti sono abbondanti e le vocali molto ridotte.»
Q: Qual è la conoscenza e la ricezione in Italia della letteratura slovena? Quale, invece, il livello della conoscenza letteraria in generale?
«Il popolo sloveno è poco numeroso e sicuramente questo fattore ha fatto sì che l’editoria italiana volgesse il proprio sguardo in altre parti del mondo, lasciando un po’ nell’ombra la produzione letteraria del paese. Nonostante questo, la Slovenia vanta, per tradizione, una fervida attività letteraria, soprattutto nel campo della poesia, e assiste a un appoggio economico da parte dello Stato che ne favorisce lo sviluppo.
I libri hanno costi molto elevati (circa 40 euro), il che fa della biblioteca il luogo privilegiato per accedere alla lettura. E, mentre in Germania si assiste a una crescente attenzione verso la produzione slovena, personalmente credo che ci siano autori che nel nostro paese meriterebbero più fortuna, come Drago Jančar, del quale Bompiani ha tradotto Aurora Boreale.»
Q: Quali sono le capacità imprescindibili per realizzare una buona traduzione?
«Ci sono innanzitutto capacità che differiscono in base alla tipologia del testo: un testo poetico richiede al traduttore una certa predisposizione alla scrittura poetica, un testo di prosa ha bisogno di pazienza e di una nutrita conoscenza del mondo culturale di appartenenza, non solo di quello linguistico. La conoscenza dell’autore e della sua produzione è altresì di fondamentale importanza.»
Q: Qual è la responsabilità del traduttore?
«Ritengo che nonostante la traduzione pura in sé sia impossibile, essa sia un passaggio necessario. Per quanti sforzi poi un traduttore faccia, egli sa che non riuscirà mai a ottenere una copia uguale all’originale perché essa mette in contatto due universi letterari che sono distanti per ideologia.»
Q: Ci sono state difficoltà nel lavoro di traduzione del romanzo di Nataša Kramberger?
«Il racconto di per sé non ha presentato difficoltà, la lettura in lingua originale è molto fluida e piacevole. Però lo sloveno è una lingua che presenta dialetti tra loro molto differenti in base alla zona geografica e l’autrice, che proviene da un’area rurale confinante con l’Ungheria, utilizza dei vocaboli specifici, non immediatamente traducibili. È stato pertanto necessario vederla e sentirla per affinare la resa linguistica nel modo più vicino all’originale possibile.»
Q: Qual è stato l’approccio al romanzo di Gabriela Babnik? Quali, invece, le sfide più complesse durante il lavoro di traduzione?
«Generalmente, non leggo mai del tutto un romanzo prima di tradurlo, mi bastano poche pagine per capirne il grado di difficoltà , poi mi piace scoprirlo lentamente attraverso la traduzione. In questo caso anche una problema di tempi abbastanza ristretti per la consegna del lavoro. Evidentemente la prima operazione da fare è stata quella di cercare di immedesimarsi nei due protagonisti, cosa non del tutto facile soprattutto per quanto riguardava il ragazzo africano.»
«Non ci sono stati particolari problemi riguardo lo stile dell’autrice che è semplice, piccole difficoltà solo nell’uso di termini provenienti dalla realtà africana e nel modo di esprimersi di uno dei protagonisti, che è semianalfabeta e quindi si esprime in una pessima lingua.»
Q: Alla luce del Premio letterario Europeo, che colloca inevitabilmente il romanzo in un contesto sovranazionale, qual è la dimensione Europea presente nel romanzo della Nataša Kramberger?
«Una delle storie principali è ambientata ad Amsterdam, dove vive una studentessa che lavora come babysitter per mantenersi all’estero. Nella sua semplicità, questa è una situazione che si verifica ovunque nell’Europa di adesso. I giovani oggi vivono proprio questo, sono portati a uscire dai propri confini per conoscere una cultura altra che iniziano a percepire come propria. Qui le storie che si intrecciano danno la sensazione di appartenere tutte a un’Europa unita.»
Q: Il romanzo ha un’ambientazione particolare, non Europea: eppure, ci dice qualcosa di profondo e attuale sull’Europa e sul suo ruolo nel mondo, non è così?
«Proprio perché ambientato per la maggior parte in Africa, ci si potrebbe chiedere quanto possa raccontare la dimensione europea. Una lettura più approfondita, però, fa capire, soprattutto alla luce delle vicende ormai annose degli sbarchi di tantissimi africani sulle coste europee e italiane in particolare, che la storia raccontata da Gabriela Babnik, l’incontro tra due mondi così distinti, in realtà è qualcosa che si ripete nel nostro continente quotidianamente. Superare quel conflitto – tra culture, lingue, tradizioni diverse –, è la vera sfida dell’Europa di oggi.»