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Intervista a Stefano Zangrando

Intervista a Stefano Zangrando: «Quando traduco mi sento a casa»
luglio 3, 2017 redazione
Stefano Zangrando, intervista

Abbiamo scambiato due parole con Stefano Zangrando, traduttore dalla lingua tedesca de Il tavolo di ciliegio di Marica Bodrožić, l’ottavo volume della collana eLit di Mimesis e  vincitore del Premio Letterario Europeo 2013.

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Stefano Zangrando, PhD in letterature comparate presso l’Università degli Studi di Trento, è docente di lettere in una scuola superiore e coordina con alcuni amici e colleghi un seminario sull’arte romanzesca all’Università di Trento. Dopo gli studi, ha perfezionato lo studio della lingua tedesca alla prestigiosa Humboldt-Universität di Berlino. Accanto alle sue primarie attività di ricerca e docenza, da circa quindici anni affianca quella di traduttore dal tedesco.

Il mestiere del traduttore non è dunque l’attività principale di Zangrando: eppure, dice, è ciò che sa fare meglio. Tradurre, aggiunge, dà valore al proprio tempo; significa mettersi al servizio dell’autore: in modo silenzioso, umile e nascosto. Possiamo allora ritenere la traduzione una degna ancella della letteratura?

Data la natura di questa attività complementare, può anche concedersi un piccolo lusso, raro.
Zangrando sceglie le opere secondo i propri interessi, soprattutto nell’ambito della prosa. Benché estremamente affascinato dalla poesia, si dedica alla traduzione di testi poetici solo per piacere personale, privato.

Tra gli autori di lingua tedesca, Zangrando ha tradotto numerose opere dello scrittore Ingo Schulze, al quale è legato da una profonda amicizia. Si possono leggere alcuni suoi interventi anche sul portale Germanistica.net – pagine di letteratura tedesca e comparata.

 

Stefano Zangrando presenta il romanzo Il tavolo di ciliegio

«Il tavolo di ciliegio è un romanzo in cui la memoria, personale e storica, è al servizio di un’esplorazione interiore e della ricostruzione di un’individualità. La narratrice, giunta a Berlino dopo alcuni anni a Parigi, ripercorre quel periodo e la sua infanzia jugoslava allo scopo di ritrovarsi intera nella sua nuova condizione esistenziale. In questo percorso si avvale, oltre che dei ricordi e della compagnia di alcuni personaggi ai quali è legata, delle fotografie che la madre le porta, ammucchiate in sacchetti, dal suo paese d’origine. È con l’ausilio di queste che, seduta presso il vecchio tavolo ereditato dagli zii o comunque abitando gli spazi del suo nuovo appartamento, Arjeta – questo il nome della protagonista – trova il raccoglimento necessario a tirare le fila della propria vita, dei propri traumi e amori.»

Q: Cosa significa tradurre un’opera letteraria in una realtà editoriale dove la figura del traduttore non è sempre riconosciuta?

«Tradurre letteratura è una delle due o tre cose per le quali mi sento più portato. Quando traduco semplicemente mi sento a casa, ho l’illusione di fare qualcosa di sensato “di per sé”, che dà significato alle mie ore e prelude a una soddisfazione per l’autore o l’autrice che ho scelto di tradurre. Si dice poi che il traduttore sia ancora una figura poco riconosciuta, ma a me pare che negli ultimi anni stia accadendo il contrario: il progetto BITES è una fra molte iniziative che mirano a valorizzare i traduttori, la loro funzione, il loro operato.
Mi pare anzi che oggi si rischi di dare una visibilità sbagliata, in un mondo editoriale spettacolarizzato, al traduttore in quanto “front man” (o woman), minando in tal modo l’umiltà necessaria a quello che in fondo non è che un servizio: al testo, al suo autore, ai lettori. Più urgente mi pare continuare a battersi a livello sindacale per tutelare diritti e compensi, ossia per migliorare le condizioni del mestiere, come fa il Sindacato dei Traduttori Editoriali – Strade

Q: Quali sono le capacità che vengono richieste a un traduttore  nell’editoria odierna?

«L’editoria richiede spesso al traduttore una “scorrevolezza” che, però, non corrisponde necessariamente alla musicalità e alle peculiarità stilistiche del testo originale. Da autore e critico, ho la sensazione che negli ultimi due decenni si sia perduto il senso dello stile. Sembra che sia i libri in lingua originale sia quelli tradotti devono ormai rispondere a una certa normalità linguistica, a una “medietà” che, se non è già presente in partenza, viene imposta attraverso cattive forme di editing. Credo invece che un traduttore debba essere fedele al proprio compito, quello di trasportare un testo nella sua poeticità specifica, e questo si ottiene non soltanto attraverso le cosiddette competenze linguistiche e traduttologiche, ma anche con una sensibilità linguistica meno misurabile, che si costruisce nel confronto vivo con la lingua straniera e che si basa anche su qualità come l’intuizione, l’empatia e uno spiccato senso musicale

Q: Hai incontrato difficoltà nel lavoro di traduzione dell’opera di Marica Bodrožić? Hai avuto un contatto diretto con l’autrice?

«Quanto traduco un autore o un’autrice vivente ritengo utile a priori potermici confrontare. Nel caso di Marica Bodrožić, la fortuna ha voluto che fin dal primo incontro scoprissimo un’affinità estetica, la comune predilezione per certi autori, e questo, unito al fatto che anche Marica traduce, ha creato la base per un dialogo proficuo al momento di chiarire i dubbi e le incertezze: ci sono state, soprattutto nei punti in cui la sua prosa si fa più lirica, e i significati più sfuggenti. Il plurilinguismo di Marica, che è di madrelingua serbo-croata, e la sua forte identità poetica, conferiscono al suo tedesco una tonalità specifica: non saprei definirla se non con l’ossimoro di una spigolosa rotondità o armonia, che l’italiano in qualche modo deve saper rispecchiare.»

Q: Quali sono i tratti distintivi della lingua tedesca? Quali le maggiori difficoltà nella trasposizione in lingua italiana?

«La lingua tedesca è una lingua indoeuropea e alfabetica non molto lontana dall’italiano. Solitamente, gli aspetti che impegnano di più il lavoro del traduttore sono due: la tendenza alla nominalizzazione e alla sostantivazione. C’è un terzo aspetto, dovuto alla sua peculiare economia morfosintattica: la maggior capacità del tedesco di reggere le ripetizioni; non sempre in italiano possono rimanere tali. La stessa sintassi, tuttavia, richiede una certa capacità di ascolto e di risonanza interiore. Senza questo, può essere difficile comprendere come trasportare la struttura di una frase, e i significati che essa incarna e veicola, in una costruzione italiana che renda lo stesso peso e una tonalità analoga alle varie parti.»

Q: Qual è la dimensione europea presente nel romanzo di Marica Bodrožić?

«Il romanzo di Marica Bodrožić è senza dubbio un romanzo europeo, non solo per l’ambientazione tra Berlino, Parigi e l’ex-Jugoslavia, o per il plurilinguismo e il retroterra biografico dell’autrice, ma anche per il tempo storico da cui prende le mosse. Mi riferisco alla peggior guerra, per di più fratricida, che l’Europa abbia conosciuto dopo la Seconda Guerra Mondiale. E’ europeo anche perché la famiglia estetica dell’autrice lo è, i suoi autori e le sue autrici di riferimento. Penso a Danilo Kiš, l’ultimo grande scrittore jugoslavo, vissuto a lungo in Francia e morto alla fine del Secolo Breve. Insomma, Il tavolo di ciliegio è un romanzo europeo perché porta i segni di tutta un’appartenenza, estetica, politica, perfino morale, a un continente, alla sua storia recente e alla sua cultura letteraria.»

 

→ Potrebbe interessarvi anche un’altra intervista a Stefano Zangrando, autore di Amateurs su  «La poesia e lo spirito».

*Stefano Zangrando (ph. salto Bz)